Narrazione unica o querela: verso una deriva autoritaria della comunicazione istituzionale?

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
“ANGELO GENTILE”
In un clima sempre più asfittico per il dibattito pubblico estivo, fa scalpore –ma forse non sorprende più– la decisione dell’amministrazione comunale di Sapri che dà il via libera al Sindaco per “attivare ogni utile iniziativa, anche in sede civile e penale”, in difesa dell’immagine dell’Ente e del territorio.
Tradotto: si paventa l’uso della querela contro chi pubblica contenuti giudicati ‘”fuorvianti, parziali, distorti e potenzialmente lesivi”.
A giudizio di chi? Di un consigliere? Di un assessore? Della giunta? Del sindaco? E in base a quali criteri?
Ecco le motivazioni: nelle ultime settimane si registra la crescente diffusione di contenuti mediatici lesivi dell’immagine della città, che spesso vengono presentati in chiave sensazionalistica, anche al fine di generare visibilità e visualizzazioni. Siccome il Comune è legittimato ad agire davanti alle competenti autorità giudiziarie per il risarcimento del danno all’immagine, chiedo di essere autorizzato da subito ad agire nei confronti di chi compromette la reputazione dell’amministrazione.
Contenuti mediatici lesivi: da parte di giornalisti? Di privati cittadini? Associazioni politiche? Chi? Questa presa di posizione troppo generalizzata e ambigua, che vorrebbe difendere contemporaneamente la reputazione degli amministratori, l’immagine della città e l’economia locale, rappresenta un chiaro segnale: la soglia di tolleranza verso le voci critiche si è abbassata drammaticamente, al punto da scivolare nel terreno minato della censura preventiva e della minaccia giudiziaria. Chiunque provi a offrire una narrazione differente da quella ben allineata alla narrazione ufficiale viene immediatamente etichettato come mistificatore, sobillatore, un nemico del proprio paese, rischiando di essere perseguito anche penalmente.
A questo punto, la domanda è inevitabile: cosa resta della libertà di informazione? Quando si minaccia la causa civile o, peggio, quella penale contro chi semplicemente esercita il diritto – e il dovere– di raccontare ciò che vede, la democrazia perde terreno.
E c’è di più.
Le amministrazioni, nelle loro comunicazioni ufficiali, spesso ignorano i problemi strutturali, nascondono i fallimenti e gonfiano i traguardi.
La realtà viene rifratta attraverso la lente di una propaganda che disegna una città priva di difetti, patinata e irrealistica. Ma se la retorica istituzionale può indulgere nella costruzione di una reputazione artificiosa, perché i cittadini o i giornalisti non possono evidenziare ciò che non funziona e che potrebbe diventare un serio problema per tutti?
È lecito allora domandarsi: le comunicazioni delle amministrazioni civiche sono affidate a professionisti dell’informazione ‘indipendenti’ oppure passano direttamente dagli organi politici, senza alcun filtro? Nel secondo caso, non si rischia di calpestare con disinvoltura ogni parvenza di obiettività?. Cicero pro domo sua?.
La comunicazione diventa quindi appannaggio esclusivo dei propri sostenitori, troppo spesso compiacenti per interesse, attratti da una narrazione edulcorata, rassicurante e di tendenza.
In sostanza, questa vicenda rivela molto più di quanto possa sembrare: non si tratta solo di un indirizzo politico o di una delibera, ma di un segnale preoccupante. In un contesto in cui l’unica informazione legittima sembrerebbe essere quella gradita al potere, tutto ciò che si discosta potrebbe quindi diventare “lesivo’ e ‘distorto”. E, se serve, si querela.
Ma la libertà di stampa o di espressione non è un fastidio da contenere, né una minaccia da neutralizzare. È un pilastro della democrazia. E chi governa dovrebbe tenerlo sempre presente, anziché imboccare la strada pericolosa che rappresenta una plausibile intimidazione istituzionale.